Nutrirsi bene aiuta a combattere i tumori
Ogni anno la malnutrizione uccide solo in Italia circa 35.000 pazienti oncologici e allunga le prognosi del 45%. Avere stili alimentari sani contribuisce ad affrontare meglio le terapie e a guarire prima. Gli esperti però mettono in guardia: niente fai-da-te, ma affrontare sempre l’argomento con uno specialista.
“Quando mi ammalai, il mio oncologo mi disse che il mio corpo era come una casa che ha subito un terremoto: dovevo mangiare di tutto per permettere alla parte buona di non crollare e sostenere quella malata”, ricorda Gianfranca Traclò, responsabile dell’area ricerca di Favo, la Federazione italiana delle associazioni di volontariato oncologico, che ha vissuto in prima persona il dramma della malattia e l’importanza della nutrizione nel percorso di cura. “Questa immagine mi permise immediatamente di capire che direzione seguire. Purtroppo è un tipo di informazione che non tutti i pazienti hanno”.
In Italia si stima che ogni anno muoiano 35 mila pazienti oncologici a causa della malnutrizione, numeri che potrebbero essere ridotti con una maggiore consapevolezza del problema e con un dialogo tra medico e paziente anche su aspetti che apparentemente non riguardano direttamente la malattia. Se ne è discusso oggi a Milano all’interno dell’incontro “Tumori: l’importanza della nutrizione clinica nel percorso di cura del paziente”, reso possibile grazie a un grant educazionale di Baxter.
“In realtà una persona che perde peso e massa muscolare risponde meno ai trattamenti, che devono essere somministrati a dosaggi più bassi o in tempi allungati, peggiorando così la prognosi del paziente”, puntualizza Paolo Pedrazzoli, direttore della struttura complessa di Oncologia del Policlinico San Matteo di Pavia. Si calcola infatti che per i malnutriti la degenza duri circa il 45% in più rispetto a quella media.
“Una nostra indagine che ha coinvolto oltre 1200 pazienti ha dimostrato come ci sia una grande confusione tra alimentazione per la prevenzione primaria e quelLa che serve a un malato per affrontare le cure – nota Gianfranca Traclò – Meno del 10% dei malati oncologici viene seguito da un nutrizionista: gli altri si auto-organizzano sulla base di informazioni reperite su internet o tramite il passaparola”.
Il percorso nutrizionale
Ma che cosa significa affrontare un percorso nutrizionale durante la malattia? “Nel nostro immaginario una dieta è un pezzo di carta con ciò che posso o non posso mangiare – osserva Riccardo Caccialanza, dell’Uoc Dietetica e Nutrizione Clinica del Policlinico San Matteo di Pavia – In realtà un’attività di counseling prevede una discussione attiva con il paziente, la costruzione di una relazione empatica che punta a mantenere la persona nel miglior stato nutrizionale possibile. Questo significa anche assecondare i suoi gusti e le sue abitudini”.
Gli esperti invitano poi a non focalizzarsi sui singoli cibi: “L’importante è mantenere uno stile nutrizionale sano, che significa anche utilizzare il buon senso – sottolinea Caccialanza – È inutile e può essere dannoso eliminare dei cibi o mangiare solo alcune categorie di alimenti”.
Affrontare l’aspetto nutrizionale durante la malattia è tutt’altro che semplice. Un po’ perché si tende a sottovalutare il problema e un po’ perché manca una piena consapevolezza anche nella classe medica. “Dobbiamo aumentarla tra gli oncologi – afferma Pedrazzoli – che troppo spesso non sono in grado di fornire risposte esaurienti ai pazienti. L’oncologo dovrebbe coordinare un team multidisciplinare in cui c’è anche un nutrizionista o almeno una dietista”. E poi c’è il nodo delle differenze regionali: non tutti gli ospedali sono dotati degli esperti necessari. “È vero che i professionisti sono carenti, ma quelli che ci sono potrebbero essere organizzati meglio”, sostiene Caccialanza, che sottolinea come quello della mancanza di risorse (anche economiche) sia uno degli aspetti, ma non il principale.
Il documento sulla nutrizione artificiale
A livello istituzionale Aiom, Sinpe e Favo hanno prodotto un documento congiunto per un gruppo di lavoro ministeriale, che contiene i criteri minimi per la nutrizione artificiale. Questo perché alcune categorie di pazienti potrebbero non essere in grado di alimentarsi in modo autonomo e diventa quindi importante la nutrizione parenterale (direttamente nel torrente circolatorio, attraverso accessi venosi centrali o periferici) e enterale (nel tratto gastrointestinale tramite sonde). “Anche in questo caso, va sfatato un mito – afferma Pedrazzoli –Questo tipo di nutrizione non è un trattamento per le fasi avanzati o pre-terminali della malattia, ma va intrapreso parallelamente alla terapia oncologica”.
La nutrizione clinica diventa quindi una terapia di supporto fondamentale per migliorare l’aspettativa e la qualità della vita dei pazienti con tumore. “Dobbiamo diffondere una cultura di apertura e dialogo su questi temi, prima di tutto nei confronti della classe medica, che non deve mettere in imbarazzo il paziente e portarlo quindi a non parlarci più”, conclude Caccialanza.
22 novembre 2017
Quotidiano Sanità